Fin dalle origini dell'Uomo, la Storia di un territorio è stata strettamente collegata alla presenza di corsi d'acqua.
Lo sviluppo dell'agricoltura, dei centri abitati, delle molteplici attività umane, è dipesa dalla presenza dei fiumi, dalla loro regimazione, dalle alluvioni e dalle regole che l'uomo stabiliva di volta in volta per l'utilizzo a fini economici delle loro acque.
Il fiume Tergola, anche chiamato la Tergola, è un fiume di risorgiva che trae la sua origine nella Palude di Onara, un’area naturalistica di grande pregio sita in comune di Tombolo (PD). Da qui il fiume scorre per circa 40 km in direzione Sud Est, dividendosi in due rami presso Sant'Andrea di Campodarsego, e ricongiungendosi in un unico corso tra Pionca e Peraga. Dopo Vigonza le acque scorrono in un alveo artificiale (scolo Veraro) che sfocia nel Naviglio del Brenta presso Strà.
Quello che noi vediamo al giorno d’oggi lungo il parco di Villa Selvatico, nel suo tratto da Sant’Andrea a Pionca, è un placido fiume che scorre tra alti e solidi argini quasi rettilinei, circondati da una campagna ben curata. Ma non sempre è stato così.
Dobbiamo immaginare che fin dall’antichità il corso di questo fiume fosse ben più sinuoso, caratterizzato da ampie curve e fiancheggiato da boschi e da zone paludose e a prato, dove il fiume poteva espandersi liberamente nei momenti di piena dovuti alle piogge. Ciò si desume da antichi disegni rinvenibili presso gli archivi di Stato, ed è per esempio ancora molto evidente nella Kriegskarte disegnata dagli Austriaci (1798-1805).
In questa cartografia, proprio all’altezza di Villa Selvatico, si possono notare ampie zone colorate di verde che stanno a significare la presenza di zone umide dovute alla vicinanza del fiume, che potevano essere dedicate al pascolo degli animali o alla raccolta di legna e di canna palustre utilizzata per le costruzioni.
A partire dal Medioevo ed in particolare dopo l’anno Mille, lungo la Tergola si diffondono i molini idraulici, favoriti dalla portata costante e tranquilla di questo fiume. Essi giungono al loro massimo sviluppo nell’età veneziana, grazie alla supervisione e alla rigorosa regolamentazione imposta dalla Serenissima e al nuovo sviluppo dell’agricoltura. I molini diventano ancor più che nel passato dei centri economici e commerciali per tutto il territorio circostante.
A seguito dello sviluppo industriale dell’ultimo secolo, tali edifici perdono la loro funzione e vengono talora completamente abbandonati, cadendo in rovina. Nei pressi di Villa Selvatico possiamo però ancora osservarne tre: il molino di Sant’Andrea nei pressi della chiesa parrocchiale, oggi trasformato in negozio di agraria, il molino delle Quattro Ca’ ora detto Casa Rossa, lungo l’argine poco distante dalla villa, e il molino di Codiverno, ora molino Santon, tutt’ora attivo nella produzione di farine e come negozio di agraria.
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Il fiume inoltre ha rivestito per secoli e tutt’ora riveste un’importanza fondamentale per l’irrigazione delle colture agrarie di questo territorio. Anche grazie alla canalizzazione secondaria diffusa, in gran parte risalente alla centuriazione romana, l’acqua derivata dalla Tergola può essere utilizzata per scopi irrigui su un’ampia superficie circostante le due sponde del fiume, permettendo così una fiorente agricoltura.
I racconti degli anziani permettono anche di sapere che fino agli anni ’50 del secolo scorso, la Tergola era luogo di molte altre attività per gli abitanti dei paesi lungo il suo corso, grazie al fatto che era considerato un fiume dalle acque pulitissime: vi veniva praticata la pesca in quanto ricchissimo di varie specie di pesce, lungo le sue rive si faceva il bucato, e si usava per scopi ricreativi, come andare in barca e nuotare…
Ovviamente questi utilizzi non vi sono più per il cambio di abitudini della società, ma negli ultimi anni si è recuperato un utilizzo ricreativo importante per gli abitanti e per i turisti, creando la pista ciclopedonale che corre lungo i suoi argini.